È noto ormai come l’interesse verso l’erboristeria sia gradualmente cresciuto nell’ultimo decennio, soprattutto nei suoi usi più semplici e immediati; in particolare, negli ultimi due anni, in parallelo all’evento del lockdown, un numero crescente di persone, avendo più tempo a disposizione e preoccupato per la propria salute, ha acquistato e consumato una grande quantità di integratori a base di erbe e di miscele di erbe secche per infusi.
Si stima che nel solo 2020 il consumo di tisane sia più che raddoppiato,
raggiungendo una crescita approssimativa del 75%. Il nostro gruppo di lavoro, da sempre focalizzato sulla creazione di tisane composte con essenze vegetali endemiche o presenti nel territorio, in questo stesso periodo si è dedicato a testare erbe meno conosciute e ad esplorarne le potenzialità in miscela.
Nell’inverno del 2020 ci siamo allora cimentati nelle prove delle singole erbe in diversi tempi di infusione. Miscelare delle erbe per ottenere una tisana potrebbe sembrare cosa semplice, ma una molteplicità di fattori ne rivela una certa complessità; raggiungere un risultato valido e facilmente prevedibile è tutt’altro che scontato.
Molte piante hanno profumi intensi che però non vengono trasferiti in acqua per infusione. In altre, il profumo, seppur presente, è dominato da un sapore amaro forte o da un’astringenza marcata.
Quale è stato quindi il nostro modo di procedere?
Abbiamo provato una ad una le piante scelte in infusione e abbiamo annotato le note positive e negative per quanto riguarda il colore, il sapore e il profumo.
Ricercare equilibri tra aromi, dominanze e retrogusti è stata una esplorazione interessante, che ci ha portato a scoprire i notevoli effetti della lavorazione post-raccolta su alcune piante. In particolare le foglie di rovo (specie tendenzialmente infestante e quindi molto rappresentata nel terreno aziendale) sono ricche di tannini e poco interessanti tal quali. Dopo un processo di ossidazione ad opera degli enzimi presenti nelle stesse cellule della foglia di rovo si liberano molecole a catena più breve dal piacevole profumo e aroma che vengono trasmesse all’infuso facendolo assomigliare a quello del thè.
Dai campi sperimentali invece, che sono stati fatti in pianura irrigua e in collina non irrigua, abbiamo raccolto durante l’estate 2021 radice di bardana e infiorescenze di achillea e issopo.
Rispetto agli oleoliti fatti in precedenza partendo da piante fresche, l’utilizzo della radice prevede una lavorazione di preparazione aggiuntiva: la raccolta della parte epigea, evidentemente sporca di terra, deve necessariamente essere seguita da un’immediata spazzolatura e poi dal lavaggio del pane radicale, per evidenziarne le radici più carnose e adatte alla trasformazione. Le radici, scolate e tamponate con panno, vengono ridotte in piccoli pezzetti, poi stesi ad asciugare perfettamente, se non essiccati.
Questa operazione è fondamentale per scongiurare una crescita batterica durante l’infusione in olio, che lo porterebbe ad irrancidire e quindi a non poter essere utilizzato.
Per tutti e tre gli oleoliti abbiamo usato olio di semi di girasole biologico, che si è rivelato un ottimo ingrediente, nelle prove fatto l’anno precedente oltre ad essere reperibile di provenienza umbra.